2.0.0 I BIOMATERIALI |
2.0.1 Definizione |
2.0.2 Classificazione |
2.0.3 Considerazioni generali |
2.1.0 Polipropilene |
2.1.1 Caratteristiche fisico-chimiche |
2.1.2 Utilizzo clinico |
2.1.3 Complicanze |
2.2.0 Metilmetacrilato |
2.2.1 Caratteristiche fisico-chimiche |
2.2.2 Utilizzo clinico |
2.2.3 Complicanze |
2.3.0 Politetrafluoroetilene espanso (PTFE e) |
2.3.1 Caratteristiche fisico-chimiche |
2.3.2 Utilizzo clinico |
2.3.3 Complicanze |
2.4.0 Medpor |
2.4.1 Caratteristiche fisico-chimiche |
2.4.2 Utilizzo clinico |
2.4.3 Complicanze |
2.5.0 Ceramiche ed altri materiali per la sostituzione ossea |
2.5.1 Caratteristiche fisico-chimiche |
2.5.2 Utilizzo clinico |
2.5.3 Complicanze |
2.6.0 Titanio |
2.6.1 Caratteristiche fisico-chimiche |
2.6.2 Utilizzo clinico |
2.6.3 Complicanze |
2.0.0 I BIOMATERIALI
2.0.1 Definizione
Sono definiti biomateriali tutti i materiali di varia composizione che presentano accettabili caratteristiche di biocompatibilità. Il concetto di biocompatibilità si riferisce ad un’insieme di proprietà che un materiale deve possedere per essere utilizzato con sicurezza in un organismo biologico. I tessuti biologici infatti reagiscono secondo modalità variabili all’introduzione o al contatto con un corpo estraneo, modalità che dipendono dalle caratteristiche fisico-chimiche e meccaniche del materiale. Il materiale ideale non esiste e i materiali fino ad oggi utilizzati sono quelli con le migliori caratteristiche di biocompatibilità. Alcune delle caratteristiche che un materiale biocompatibile deve possedere sono:
Assenza di carcinogenicità
Assenza di immunogenicità
Assenza di teratogenicità
Assenza di tossicità
2.0.2 Classificazione
I materiali impiantabili oggi disponibili sono numerosi e possono essere suddivisi nelle seguenti categorie:
Tipo |
Composizione |
Utilizzo |
Polimeri del carbonio |
Gore-Tex(PTFE espanso) |
Ricostruzione parete
toracica e addominale |
Polipropilene(Marlex, Prolene) |
Ricostruzione parete
toracica e addominale |
|
Polietilene(Medpore) |
Riempimento di difetti di tessuti molli |
|
Polietilene tereftalato (Dacron,Mersilene) |
Suture chirurgiche |
|
Poliuretano |
Rivestimento di protesi mammarie |
|
Poliesteri alifatici(ac. polilattico,poliglicolico ecc.) |
Suture chirurgiche |
|
Metilmetacrilato(MMA) |
Ricostruzione parete
toracica e addominale |
|
Polimeri non carbonici |
Silicone |
Protesi mammarie |
Ceramiche |
Idrossiapatite |
Camouflage di difetti
del distretto cranio-facciale |
Fosfato tricalcico |
Ricostruzione piccoli difetti ossei |
|
Metalli |
Titanio |
Miniplacche e viti |
2.0.3 Considerazioni generali
Il rischio maggiore legato all’utilizzo di materiali alloplastici è la suscettibilità all’infezione. Tale suscettibilità dipende da diversi fattori:
-
sede dell’impianto
-
vascolarizzazione della tasca che accoglie l’impianto
-
tecnica operatoria (manipolazione e posizionamento dell’impianto)
-
capacità dei batteri di aderire e colonizzare l’impianto
-
caratteristiche strutturali dell’impianto
In circostanze normali sono necessari 100000 batteri per provocare un’infezione clinicamente significativa. Quando vengono utilizzati materiali alloplastici 100 batteri possono essere sufficienti.
Alcune norme comportamentali sono quindi necessarie per ridurre il rischio di infezione:
-
mantenere l’impianto esposto all’aria il minor tempo possibile
-
lavare i guanti chirurgici per eliminare i residui di talco
-
assicurarsi che i tamponi utilizzati non siano sfilacciati
-
incidere la cute il più lontano possibile dalla tasca in cui verrà posizionato l’impianto
-
evitare di porre l’impianto in sede troppo superficiale creando tensione sulla cute
-
eseguire il minimo di manipolazioni necessarie per introdurre l’impianto
-
somministrare una ntibiotico efficace verso lo stafilococco aureo nel periodo perioperatorio
2.1.0 POLIPROPILENE (MARLEX, PROLENE)
2.1.1 Caratteristiche fisico-chimiche
Il polipropilene viene ottenuto
dalla polimerizzazione (Zygler-Natta) del composto
organico propilene (CH3-CH=CH2)
e possiede un gruppo metilico (-CH3) che
si diparte da ogni altro atomo di carbonio presente
lungo la catena molecolare. Poichè la forma più
comune di polipropilene possiede i gruppi metilici
tutti su un solo lato della catena, le molecole del
polimero tendono ad essere altamente allineate e
compatte, il che conferisce al materiale le
caratteristiche di durevolezza, resistenza alla
trazione ed agli agenti chimici. E’ permeabile
all’acqua, resistente ai raggi X e ad alte
temperature (160°C). Quest’ultima proprietà ne
consente la sterilizzazione in autoclave senza
alterarne la struttura né le caratteristiche
fisiche.
Le reti di Polipropilene monofilamento più
utilizzate per la ricostruzione della parete
toracica (Marlex, Bard Inc.; Prolene, Ethicon Inc.)
sono non riassorbibili e differiscono tra loro solo
per la porosità (il Prolene possiede pori più ampi)
e per la rigidità (la rete di Marlex è distensibile
lungo un solo asse, quella di Prolene è rigida lungo
tutti gli assi). Le dimensioni dei pori sono
importanti per il ruolo che hanno nelle infezioni.
Marlex e Prolene rientrano nelle protesi di tipo I e
cioè il gruppo pori più ampi di 75μ, il Gore-tex a
quelle di tipo II con pori<10μ (classificazione di
Amid, 1997). I materiali con pori di tipo I
permettono il passaggio di macrofagi, fibroblasti e
dei neovasi e favoriscono quindi sia una risposta
antibatterica che l’integrazione tissutale. Tuttavia
il contatto diretto con i visceri addominali è causa
di gravi complicanze quali aderenze e fistole. Nuove
protesi vengono costantemente studiate (es.:
Composix – Polipropilene/Gore-Tex).
2.1.2 Utilizzo clinico
Il Polipropilene (PP) è uno dei
materiali da più tempo conosciuti ed utilizzati in
chirurgia per le sue caratteristiche di resistenza,
inerzia, biocompatibilità e capacità di integrazione
tissutale. Il suo utilizzo in chirugia plastica è
essenzialmjente rivolto alla riparazione di difetti
della parete toracica e addominale.
Parete toracica
L’uso della rete di Marlex per la
ricostruzione della parete toracica fu descritto per
la prima volta da Graham e coll. nel 1960.Con
l’introduzione di questo materiale per la
stabilizzazione di grandi difetti della parete
toracica, l’uso della maggior parte degli altri
materiali divenne obsoleto. Il Polipropilene,
infatti, divenne in breve la prima scelta grazie ai
suoi numerosi pregi: la struttura molecolare
altamente compatta, la capacità di essere
completamente integrato nei tessuti, l’assenza di
reazioni da corpo estraneo e la resistenza alle
infezioni.
Sono essenzialmente cinque le condizioni patologiche
che possono richiedere l’intervento del chirurgo
plastico per la ricostruzione della parete toracica
e sono schematizzate in Tabella 1 insieme ai
principi guida generali.
Cause di perdita di sostanza
della parete toracica |
Princìpi di ricostruzione della parete toracica |
Tumori |
Completa resezione e/o escarectomia della lesione |
Infezioni |
Obliterazione dello spazio morto intratoracico |
Danni da radiazioni |
Copertura con tessuti molli vitali |
Traumi |
Ricostruzione scheletrica |
Malformazioni congenite |
Ripristino dell’aspetto estetico |
In generale, la ricostruzione
protesica è obbligatoria nel caso di asportazioni
che comprendano più di quattro coste o di resezioni
en bloc della parete che superino i 5 cm di
diametro, al fine di un completo ripristino della
funzionalità respiratoria post-intervento.
La rete di Polipropilene (Prolene o Marlex) deve
essere posizionata in situ sotto tensione: ciò si
può ottenere assicurandola ai margini della perdita
di sostanza (con robuste suture non riassorbibili)
mediante l’ausilio di un approssimatore costale. La
rimozione di quest’ultimo provoca un evidente
aumento della tensione della rete che da sola è in
grado di ridurre drasticamente la quota di movimenti
paradossi durante la respirazione spontanea. La
protesi va ovviamente coperta con tessuti molli,
generalmente un lembo miocutaneo. Attualmente,
l’utilizzo della rete da sola va riservata a perdite
di sostanza limitate della parete anteriore e,
raramente, posteriore. Nel caso in cui la perdita di
sostanza coinvolga più di quattro coste
anteriormente, tutto lo sterno o la parete toracica
laterale, la maggior parte degli autori
preferisce utilizzarla in combinazione con una
resina acrilica (“sandwich” con metilmetacrilato,
MMA).
Parete addominale
Le cause più comuni di perdite di sostanza
della parete addominale sono essenzialmente: traumi,
tumori, infezioni (fascite necrotizzante), ernie
post-operatorie (laparocele), anomalie congenite
(gastroschisi, onfalocele). Nella ricostruzione
della parete addominale vanno raggiunti due
obiettivi fondamentali: ripristinare l’integrità per
proteggere i visceri ed evitare le recidive. I
materiali protesici vengono utilizzati per il
supporto strutturale privo di tensione della parete
sia in perdite di sostanza “stabili” che come misura
temporanea in ferite acute aperte.
Princìpio fondamentale della ricostruzione della
parete addominale con reti in PP è evitare il
posizionamento a diretto contatto con i visceri per
l’alta incidenza di aderenze che ne consegue;
occorre quindi, ove possibile, ripristinare la
continuità del foglietto peritoneale prima di
posizionare la protesi; nel caso in cui ciò non
possa avvenire, la rete va messa superficialmente
rispetto alla guaina posteriore dei muscoli retti e
profondamente a questi ultimi (posizionamento
pre-fasciale). Con le già citate reti composite,
tipo Composix (Bard, Inc), si è
ottenuta la possibilità di posizionare le protesi
anche a diretto contatto con i visceri, sfruttando
la bassa incidenza di aderenze tipica del Gore-Tex.
(che ne costituisce la faccia profonda). Studi
recenti in proposito (Francioni et al., 1999;
Greenwalt et al., 2000; Negro et al., 2000) sembrano
dare risultati positivi.
Le suture di fissaggio vanno eseguite
preferibilmente a punti staccati (alla distanza
reciproca massima di 1.5 cm) con fili robusti non
riassorbibili (ad esempio, Prolene 2/0);
naturalmente, la rete va ricoperta con tessuti
vitali. Fondamentale è il controllo dell’emostasi
che deve essere accuratissimo; in ogni caso, è
consigliabile posizionare sempre uno o più drenaggi
in aspirazione (tipo Redon).
2.1.3 Complicanze
Lo studio della risposta
infiammatoria acuta al PP, valutata
mediante microscopia di campioni di tessuto di
animali da esperimento sottoposti all’impianto a
livello della parete addominale, ha dato risultati
abbastanza disomogenei. Lamb, ad esempio, in un
lavoro del 1983 sull’impianto di Marlex in conigli
da esperimento, dimostrò una minima presenza di
cellule infiammatorie all’interfaccia peritoneale;
Greenstein, nello stesso anno, riportò risultati
opposti. Uno studio di Cavallaro sulla reattività
tissutale nei confronti di suture vascolari in
Polipropilene, ha evidenziato una precoce intensa
reazione infiammatoria al monofilamento con
successiva attenuazione della risposta e formazione
di una minima “capsula” di tessuto connettivo. Anche
il livello serico di mediatori dell’infiammazione
(Interleukina-6, Alfa-1-Antitripsina, Proteina C
Reattiva, Fibrinogeno, neutrofili) risulta più
elevato nei soggetti portatori di reti in PP per la
riparazione di ernie addominali (DiVita, 2000). Nel
complesso, quindi, tale materiale sembra dar luogo
ad una risposta infiammatoria iniziale maggiore
rispetto ad altri presenti in commercio (ad esempio
il Gore-Tex o il Mersilene). Nello stesso tempo,
però, la maggior parte degli studi concorda sulla
scarsità di reazioni da corpo estraneo, stimabili
mediante la ricerca di cellule giganti mononucleate
nei campioni istologici. Un recente lavoro di
Ortiz-Oshiro (1999), ha evidenziato un’ottima
integrazione tissutale del Polipropilene e la sua
capacità di formare un robusto tessuto di sostegno
nel sito di impianto (microscopicamente
rappresentato dalla quota di fibroblasti ed
istiociti riscontrabili nei campioni analizzati).
La complicanza più temibile di un impianto protesico
è comunque l’infezione (flogosi
suppurativa o ascessi) il cui tasso di incidenza in
letteratura oscilla tra lo 0.2% ed il 4%. In
generale, a parte rari casi in cui può instaurarsi
un trattamento conservativo (drenaggi con
antibioticoterapia mirata), la protesi va rimossa in
caso di processo infettivo.
Frequente, nella ricostruzione con materiali
protesici di questo tipo, è la formazione di
seromi o, più raramente, di ematomi:
per tale motivo, è sempre consigliabile una emostasi
scrupolosa ed il posizionamento di drenaggi in
aspirazione. Rara ma possibile, la deiscenza
della sutura di fissaggio, con conseguente rischio
di migrazione dell’impianto. Ad
un’attenta revisione della letteratura, emerge
l’alta biocompatibilità del polipropilene, la sua
grande versatilità e la elevata resistenza tensile
accanto ad una bassa incidenza globale di
complicanze, che ne fanno un ottimo materiale per la
ricostruzione delle perdite di sostanza tanto della
parete toracica che addominale.
2.2.0 METILMETACRILATO
2.2.1 Caratteristiche fisico-chimiche
Il Metilmetacrilato è un polimero
sintetico, molto utilizzato in chirurgia plastica ma
anche in ortopedia e neurochirurgia, composto da
esteri acidi metacrilici. Viene prodotto in due
forme: la prima, trattata “a caldo”, dà luogo ad un
impianto preformato rigido; la seconda, genera un
liquido che può essere modellato e sagomato in
qualunque forma al momento dell’intervento. La
preparazione di questa seconda forma di MMA,
richiede la miscelazione di una polvere di
metilmetacrilato con liquido monomerico per alcuni
(5-10) minuti. Al termine del processo, si verifica
una reazione esotermica che esita nell’evaporazione
dei monomeri che non si sono legati. Una volta
indurito, può essere modellato con una fresa.
Il MMA è radiotrasparente, non cancerogeno,
estremamente duraturo e totalmente biocompatibile;
conduce molto poco sia l’elettricità che il calore.
2.2.2 Utilizzo clinico
Il MMA viene ampiamente
utilizzato per la riparazione di difetti dello
scheletro del distretto cefalico (cranio, mandibola,
articolazione temporomandibolare), sia in adulti che
in bambini, per la facilità di adattamento a
qualunque forma e dimensione e per la sua
durevolezza.
Recentemente sono stati utilizzati impianti di MMA
impregnati con tobramicina, soprattutto nelle
ricostruzioni mandibolari, o con gentamicina, nelle
riparazioni di fratture tibiali esposte infette.
L’utilizzo della resina acrilica in aggiunta alla
rete di Polipropilene fu descritto per la prima
volta da Alonso-Ley nel 1971 per la ricostruzione di
sterno, costole ecc. La rete costituiva la base
della protesi acrilica che, una volta fissata con
fili d’acciaio, venne ricoperta con muscolo
pettorale.
Una variante è costituita dal “sandwich” di
Marlex-Metacrilato per la riparazione di difetti
ossei della parete toracica. Il sandwich è
costituito da due reti di Marlex contenenti la
resina acrilica e viene preparato in sede
intraoperatoria. La protesi può essere modellata
esternamente al difetto o in situ sul difetto da
colmare, mantenendo il polmone espanso con
ventilazione positiva.
2.2.3 Complicanze
Gli effetti collaterali dell’applicazione locale del MMA sono rari. La risposta infiammatoria tissutale è minima e consiste nella formazione di una sottile capsula intorno all’impianto che contiene fibroblasti e rare cellule giganti da corpo estraneo, Durante l’applicazione in situ del polimero esiste il rischio di ustioni dovuto alla reazione esotermica che può sviluppare temperature fino a 70°C. Se il MMA entra in circolo può causare arresto cardiaco o altre aritmie. Come qualunque corpo estraneo, il suo impianto è soggetto al rischio di infezione ed estrusione, peraltro abbastanza rare. In generale, a tale proposito, si consiglia di posizionare la protesi di MMA facendo in modo che i margini dell’impianto si trovino ad almeno 1 cm di distanza dall’incisione cutanea e di evitare l’uso del MMA al di sotto di innesti cutanei o tessuto cicatriziale: ciò riduce drasticamente l’incidenza di infezione della protesi. Più raramente, si sono riscontrate la migrazione dell’impianto o la sua frammentazione.
2.3.0 POLITETRAFLUOROETILENE ESPANSO (GORE-TEX)
2.3.1 Caratteristiche fisico-chimiche
Il monomero base
(Tetrafluoroetilene) è composto da due atomi di
carbonio a doppio legame uniti ognuno a due atomi di
Fluoro; sotto forma di polimero espanso
(Politetrafluoroetilene espanso, e-PTFE) esso
assume, grazie ad un procedimento messo a punto
dalla casa, una struttura detta “nodo-fibrillare”
composta da catene di unità ripetitive saldamente
cross-legate (microfibrille multidirezionali di
circa 22 μm di lunghezza e 5-10 μm di diametro) che
si incontrano a livello di “nodi” solidi (“nodal
junctions”); il peso molecolare varia da 400.000 a
10.000.000 D.
Tale complessa conformazione tridimensionale
conferisce al materiale, da un lato, una elevata
resistenza tensile (può arrivare fino a 5300 N),
dall’altro, la caratteristica porosità (con pori dal
diametro variabile da 10 a 30 μm). Quest’ultima
proprietà consente, anche se in misura minore, la
penetrazione nel materiale impiantato di fibroblasti
e collagene (“riabitazione cellulare”) e la sua
incorporazione nei tessuti circostanti formando solo
una delicata pseudocapsula fibrosa. Il processo di
“riabitazione” sembra cominciare già durante la
prima settimana dall’impianto ma appare, come detto,
meno intenso rispetto ad altri materiali
alloplastici porosi (ad esempio il Marlex). Gli
atomi di Fluoro presenti nella molecola, inoltre,
altamente elettronegativi, formano una sorta di
“guaina” protettiva intorno alla catena di carbonio
che ne impedisce l’attacco da parte di numerosi
agenti chimici e che garantisce l’inerzia, le
proprietà antiaderenti e la stabilità chimico-fisica
del polimero. Grazie a ciò, ad esempio, esso può
essere sottoposto a più processi di sterilizzazione,
tanto a gas quanto a vapore, senza alterarne la
struttura e le caratteristiche.
2.3.2 Utilizzo clinico
Questo materiale è utilizzato in chirurgia addominale, urologia, ginecologia, chirurgia orbitaria e maxillo-facciale. In chirurgia plastica, oltre alla ricostruzione toracica e della parete addominale, costituisce un ottimo presidio nel rimodellamento estetico dei tessuti molli del volto.
Parete toracica ed addominale
L’utilizzo del Gore-Tex (Gore-Tex Soft
Tissue Patch, W.L. Gore and Associates, Inc,
Flagstaff, AZ) nella ricostruzione di parete
toracica e addominale si è andato affermando per le
caratteristiche vantaggiose del prodotto. Il
Gore-Tex è impermeabile e non tende a stimolare
aderenze quando in contatto con i visceri
addominali, una caratteristica molto diversa dal PP.
Inoltre è molto più flessibile rispetto alla resina
acrilica pur conservando un’elevata forza tensile.
Attualmente, sempre più centri utilizzano
un’evoluzione del Soft Tissue Patch, denominata
Gore-Tex Dual Mesh Biomaterial; è una protesi a
superficie diversificata: quella viscerale,
microporosa, è studiata per ridurre al massimo le
aderenze; quella parietale è formata da “creste” ed
“avvallamenti” (sempre in PTFE espanso) che
stimolano, secondo gli studi, un migliore ancoraggio
al tessuto ospite e di conseguenza una maggiore
integrazione. Essa può essere tagliata, piegata e
suturata senza rischio di separazione tra le due
facce. La stessa protesi è disponibile in una
versione impregnata con antibatterici (Dual Mesh
Plus).
Riempimento dei tessuti molli del volto
Nei primi anni ’90, il PTFE espanso ha
trovato, grazie alla sua estrema biocompatibilità e
manegevolezza, un grosso spazio nell’ambito della
chirurgia del rimodellamento del volto, sia a fini
ricostruttivi che puramente estetici. Il Gore-Tex
Soft Tissue Patch, unico prodotto essenzialmente
disponibile, consisteva in fogli di 1 o 2 mm di
spessore che potevano agevolmente essere sagomati
per il riempimento di qualsiasi difetto. Infatti,
tale presidio è stato utilizzato in estetica per il
riempimento di labbra, solchi nasogenieni e rughe
glabellari; in ricostruttiva, per il trattamento di
patologie quali l’emiatrofia facciale, le perdite di
sostanza traumatiche del volto e nella ricostruzione
del naso. Con l’estendersi del suo utilizzo , e con
il conforto dei risultati, il mercato si è
arricchito di materiali prodotti specificamente a
tale scopo e sono nati dispositivi quali il Gore SAM
ed il Soft-Form.
Il Gore SAM (Subcutaneous
augmentation material) è fornito in due versioni: la
prima composta esclusivamente da PTFE espanso,
caratterizzato da flessibilità e morbidezza; la
seconda, rinforzata con propilene etilene sluorinato
(FEP) che conferisce maggiore rigidità. E’
virtualmente utilizzabile per la correzione di
qualunque difetto dei tessuti molli del viso,
essendo disponibile sotto forma di benderelle
presagomate, da sole o montate su introduttore
(impianti in labbra o solchi naso genieni),
multistrands e slings per sospensioni facciali, o
fogli (da 1 a 7 mm di spessore) da cui ritagliare
forme a piacimento (tutti risterilizzabili fino a
tre volte).
Questo tipo di materiale va impiantato nel
sottocutaneo ad una adeguata profondità, e mai nel
derma, per l’elevato rischio di estrusione, fistole
o infezioni. L’impianto avviene generalmente in
anestesia locale, attraverso piccole incisioni per
favorire il passaggio di un introduttore (trocar),
che poi viene rimosso lasciando in situ la protesi:
è importante affondare, una volta tagliate, le
estremità dell’impianto per evitarne l’estrusione
Il Soft-Form (Kinamed Inc, Newbury Park, CA) è composto da tubi cavi di e-PTFE, disegnati appositamente per promuovere all’interno la crescita di fibroblasti con sonseguente produzione di collagene. Sono tutti disponibili con lunghezza di 7 cm ed in due differenti misure del calibro interno ed esterno (1mm o 1.2 mm di diametro interno con, rispettivamente, 2.4 o 3.2 mm di diametro esterno). E’ indicato per i rimodellamento delle labbra ed il riempimento dei solchi nasogenieni e glabellari. E’ più morbido e meno palpabile dei fogli o delle banderelle di Gore-Tex ed è, come quest’ultimo, facilmente rimovibile se necessario (malposizione o infezione).
2.3.3 Complicanze
Il Gore-Tex possiede innumerevoli
vantaggi rispetto ad altri sostituti presenti in
commercio ed è quello che probabilmente si avvicina
di più alle caratteristiche ideali di un
biomateriale protesico: il PTFE espanso è altamente
biocompatibile, anallergenico, non cancerogeno ne
mutageno, con reazioni da corpo estraneo
virtualmente assenti. La risposta
infiammatoria è sicuramente inferiore
rispetto al polipropilene, come confermano numerosi
studi sull’uso dei due materiali in chirurgia
addominale, ma l’integrazione tissutale, intesa come
migrazione cellulare all’interno dell’impianto
stesso, risulta inferiore. Se da un lato ciò
implica, in termini assoluti, un minore ancoraggio
della protesi ai tessuti, dall’altro risulta un
enorme vantaggio nel caso di necessità di rimozione
consentendone un agevole clivaggio.
Il tasso di infezione riportato in
letteratura è peraltro variabile, nelle varie
casistiche, tra lo 0.2% e il 4% e sicuramente non
omogeneo. In ogni caso la protesi andrebbe rimossa,
anche se non estrusa, a causa delle alterazioni
strutturali che ne derivano. Al fine di ridurre
l’incidenza di infezioni nella ricostruzione
toracica e addominale, la casa ha brevettato un
nuovo tipo di protesi, una rete denominata
Gore-Tex Dual Mesh Plus: essa, oltre a
presentare una superficie porosa ed una a coste
(Gore-Tex Dual Mesh) contiene carbonato d’argento e
clorexidina, due potenti antimicrobici che agiscono
per preservare la protesi dalla colonizzazione
batterica fino a 10 giorni dopo l’impianto.
Altre complicanze possibili, quali seromi, ematomi,
estrusione o ripiegamento della protesi, sono
riportate in letteratura con un’incidenza molto
bassa, sia per gli impianti del volto che per la
parete toracica ed addominale.
2.4.0 MEDPOR O POLIETILENE AD ALTA DENSITA’ POROSO
2.4.1 Caratteristiche fisico-chimiche
Viene prodotto a partire da una
polvere di polimeri di polietilene a bassa pressione
mescolati insieme e modellati in sagome. Differisce
dal GORE-TEX per l’assenza di fluorinazione dei
monomeri etilenici. Questa modifica chimica rende il
MEDPOR più rigido e meno compressibile del
politetrafluoroetilene. Il Medpor può comunque
essere modellato tagliandola e ammorbidendolo in
acqua calda. Non può essere sterilizzato in
autoclave avendo una temperatura di fusione di
110°C.
La sterilizzazione è possibile con ossido di
etilene. Il Medpor è altamente poroso e fino al 50%
del suo volume è costituito da pori di 100-250
micron. Ha una densità di 0.6g/cm3. Il Medpor è
soggetto ad ancoraggio con i tessuti molli ed è
moderatamente osteoconduttivo. L’incidenza di
infezione è bassa ma l’introduzione per via endorale
può essere a rischio a causa della natura porosa del
materiale. Dà luogo ad una reazione da corpo
estraneo minima con una capsula periprotesica
sottile. E’ stabile e non va incontro a
riassorbimento. L’estrusione dell’impianto è rara e
può essere trattata conservativamente con l’utilizzo
di innesti cutanei o con la guarigione per seconda
intenzione.
2.4.2 Utilizzo clinico
E’ uno dei materiali alloplastici più utilizzati in chirurgia cranio-maxillofacciale, come materiale di camouflage nei deficit dei tessuti molli post-oncologici o post-traumatici, nella ricostruzione del pavimento e della parete laterale dell’orbita, delle strutture osse mediofacciali , del mento e del naso, nel trattamento della microtia e nella ricostruzione dell’orecchio conseguente ad ustioni gravi. In chirurgia estetica viene utilizzato nell’aumento di diverse regioni dello scheletro facciale: zigomi, mento, mascellare superiore e naso.
2.4.3 Complicanze
Le complicanze legate all’utilizzo del Medpor sono quelle conseguenti all’utilizzo di ogni materiale protesico. L’infezione è un’evenienza rara e anche l’estrusione. La capsula periprotesica che si forma intorno al medpor è molto sottile e non dà garanzia di una perfetta immobilità. Nelle applicazioni maxillofacciali scheletriche il medpor deve essere fissato con mezzi di osteosintesi adeguati.
2.5.0 CERAMICHE E ALTRI MATERIALI PER LA SOSTITUZIONE OSSEA
2.5.1 Caratteristiche fisico-chimiche
Fa parte di questo gruppo l’idrossiapatite, un sale di fosfato di calcio, composto inorganico principale della matrice ossea. E’ il prototipo del materiale utilizzato per la sostituzione dell’osso. La descrizione dei materiali di sostituzione dell’osso richiede una breve conoscenza dei meccanismi di guarigione dell’osso che avviene attraverso tre meccanismi:
-
osteogenesi: è il processo fisiologico di produzione di nuovo osso da parte degli osteoblasti presenti ai margini dell’interruzione ed il meccanismo attraverso cui guariscono le normali fratture senza perdita di sostanza, gli innesti di osso spongioso e i trapianti di osso vascolarizzato
-
osteoconduzione: in questo tipo di guarigione gli innesti di osso compatto e alcuni impianti alloplastici funzionano da impalcatura che permette il lento trasferimento di elementi osteoblastici dal sito donatore insieme alla neoformazione di vasi con la progressiva colonizzazione del gap osseo e la sua guarigione. Esistono diversi tipi di biomateriali con questa proprietà, alcuni riassorbibili funzionano come gli innesti di osso compatto, altri non riassorbibili permangono nella struttura finale dell’osso ricostituito. Questa proprietà è quella più sfruttata dai materiali sostitutivi dell’osso. Una caratteristica fondamentale è che l’impalcatura, a prescindere dal materiale di cui è costuita, sia porosa e permetta l’adesione e l’avanzamento dei vasi e delle cellule responsabili della formazione ossea. Pori di dimensioni variabili tra 150 e 500 microm. Sono osteoconduttivi. I fattori limitanti nell’utilizzo di questo princìpio per la costruzione di materiali alloplastici sono la vascolarizzazione e la micromobilità degli impianti. L’osteoconduzione viene interrotaa se la tensione di ossigeno all’interno dell’impianto si abbassa e la vascolarizzazione è pregiudicata da una mobilità anche minima dell’impianto. L’idrossiapatite e il fosfato tricalcico sono esempi di materiali che sfruttano questo principio e le loro applicazioni sono per ora limitate a perdite di sostanza limitate in zone non sottoposte a carico.
- Osteoinduzione: è il processo fisiologico di reclutamento di cellule immature e la loro differenziazione in preosteoblasti che avviene in ogni tipo di guarigione ossea. Lo studio della osteoconduzione è iniziato con la scoperta che l’osso stesso ha proprietà osteoinduttive quando viene demineralizzato. La matrice ossea demineralizzata, conosciuta commercialmente come DFDBA (demineralized freeze-dried bone allograft) è in grado di provocare la formazione di osso eterotopico nel sito di introduzione e di accelerare la guarigione ossea in sede ortotopica. Oggi si conoscono diversi fattori responsabili di questa proprietà, sono le BMP (bone morphogenetic proteins) di cui le meglio caratterizzate sono le BMP-2, BMP-3, BMP-7. Sono allo studio impalcature costruite con materiali riassorbibili coniugate con fattori osteoinduttivi ed alcune applicazioni cliniche sono già state descritte.
Da un punto di vista clinico gli innesti ossei rappresentano ancora il gold standard dal momento che provvedono le tre componenti fondamentali per una corretta guarigione ossea: osteoblasti, osteoconduzione ed osteoinduzione. La disponibilità di innesti di osso autoilogo è però limitata e la morbilità dei siti donatori è importante. In molte situazioni cliniche si ricorre quindi all’utilizzo di materiali alloplastici nessuno dei quali è in grado, da solo, di fornire tutte le necessarie componenti per una corretta guarigione. I materiali di sostituzione dell’osso disponibili oggi sono molti, ognuno offre alcuni vantaggi e possiede diverse limitazioni:
Proprietà |
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Materiale |
Osteogenesi |
Osteoconduzione |
Osteoinduzione
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alloinnesti di osso |
- |
+ |
+ |
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Ceramiche
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-
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+ |
-
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matriceossea demineralizzata |
- |
- |
+ |
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trapianti di midollo osseo |
+ |
- |
+ |
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innesti compositi di diversi materiali |
+/- |
+/- |
+/- |
Tutti i materiali disponibili hanno dei limiti evidenti. Sono disponibili, in particolare le ceramiche, sotto forma di polveri, di cementi o di impianti porosi e nella maggior parte delle applicazioni cliniche vengono uniti a frammenti di osso spongioso provenienti dalla zona sottoposta a trattamento o a midollo osseo con le sue proprietà osteoinduttive. Altre strategie sono argomento di intensa ricerca. Impalcature di polimeri riasorbibili porose dovrebbero permettere in futuro proprietà osteoconduttive migliori delle attuali impalcature in ceramica che presentano almeno due svantaggi importanti:
-
la difficoltà, per quelle in polvere, di essere mantenute in sede.
-
Il lungo tempo necessario per il riassorbimento e la completa sostituzione con osso neoformato.
Allo stesso modo vengono oggi studiate membrane attive legate a fattori osteoinducenti e la transfezione genetica con plasmidi contenti DNA di fattori osteoinducenti.
2.5.2 Utilizzo clinico
L’idrossiapatite è il materiale più utilizzato ed è disponibile in forma granulare riassorbibile e non riassorbibile, in forma solida riassorbibile e non riassorbibile. Le maggiori applicazioni dell’idrossiapatite e delle altre ceramiche in chirurgia plastica e ricostruttiva interessano il distretto cranio-facciale. Il loro uso è limitato alle ricostruzione temporanea di segmenti scheletrici nel caso di pazienti oncologici con limitata aspettativa di vita, in caso di supplementi di terapia (RT) o nelle resezioni con intento palliativo. Per difetti di piccole dimensioni le idrossiapatiti sono dei buoni riempitivi e favoriscono, con la loro proprietà osteoconduttiva la rivascolarizzazione e la riossificazione progressiva dell’area trattata. Piccoli difetti delle creste alveolari ne rappresentano una buiona indicazione. L’idrossiapatite è empiegata anche come materiale di camouflage in difetti maxillofacciali conseguenti a trauma o tumori. L’ipercorrezione scheletrica maschera in questo modo i deficit dei tessuti molli. E’ stata utilizzata per l’aumento delle strutture facciali Altri materiali di più moderna concezione sono però preferibili.
2.5.3 Complicanze
L’idrossiapatite in forma densa, orirginariamente utilizzata nell’aumento delle creste alveolari, era difficile da modellare e era soggetta a migrazione ed estrusione. Le forme micro e macroporose oggi disponibili sono molto più sicure ed hanno capacità osteoconduttive maggiori. L’idrossiapatite non sopporta il carico ed è soggetta a frattura e rottura completa. Analogamente tollera male il carico tangenziale. Questo le rende inefficace per ogni applicazione in regioni sottoposte a carico.
2.6.0 TITANIO
2.6.1 Caratteristiche fisico-chimiche
Il titanio è il 22esimo elemento della tavola periodica. I depositi naturali di titanio sono relativamente frequenti tanto che esso rappresenta il nono elemento più abbondante sulla terra. Lo 0.6 % della crosta terrestre è costituito da titanio. Il titanio ha cominciato ad essere utilizzato a scopi industriali e poi biomedici a partire dall’inizio degli anni ’50 quando è stato scoperto un efficace metodo di estrazione. Viene utilizzato in due forme principali:
-
puro: contiene il 99.2 % di titanio più altri elementi quali ossigeno, azoto, carbonio e ferro
-
leghe: contengono dal 2 al 20% di altri elementi quali alluminio, vandaio, cromo e zirconio
Le caratteristiche fisico-chimiche principali del titanio sono le seguenti:
-
Resistenza alla corrosione
-
Elevate durezza
-
Bassa densità (leggerezza)
-
Resistenza termica e meccanica elevate
-
Biocompatibilità
Queste caratteristiche variano
nelle diverse preparazioni disponibili del metallo.
Nella forma pura la forza tensile varia tra 290 e
740 N/mm2. Queste variazioni dipendono dalla
percentuale di ossigeno nel metallo. Al crescere di
questa aumentano la durezza e la forza tensile ma
diminuisce la resistenza meccanica. Per ottenere un
materiale con pari durezza, forza tensile e
resistenza meccanica deve essere unito ad altri
materiali in una lega. Per gli usi biomedici
tradizionalemente sono stati utilizzati l’alluminio
e il vanadio. Le leghe possono raggiungere forze
tensili di 1200 N/mm2.
La biocompatibilità è una caratteristica
fondamentale dei materiali utilizzati in campo
biomedico. Nel caso di un metallo la
biocompatibilità dipende oltre che dalla
compatibilità tissutale meccanica ed immunologica,
dalla resistenza alla corrosione. In una lega la
resistenza alla corrosione e la tossicità dei
prodotti di corrosione sono proprietà legate alla
resistenza degli strati superficiali del metallo. La
lega più utilizzata nelle applicazioni biomediche è
chiamata Ti-6Al-4V ed identifica i materiali
utilizzati nella sua composizione: Titanio,
Alluminio e Vanadio. Viene considerata inerte,
compatibile e resistente alla corrosione ma esiste
qualche dubbio sulla presenza di Vanadio ed
Alluminio che, allo stato di elementi, sono tossici.
Con ogni tipo di metallo infatti lentamente alcuni
ioni metallici diffondono dalla struttura principale
nei tessuti limitrofi.
Quando un impianto metallico viene introdotto in un
organismo biologico i tessuti danno luogo ad una
reazione infiammatoria con formazione di una capsula
fibrosa il cui spessore è proporzionale al tasso di
dissoluzione del metallo, alla tossicitò degli ioni
rilasciati e alla mobilità dell’impianto nei
confronti dei tessuti adiacenti. Il titanio puro dà
luogo ad una capsula fibrosa quasi inesistente in
alcune condizioni mentre l’utilizzo di acciaio
inossidabile porta alla formazione di una capsula di
oltre 2 mm di spessore. Per questo motivo l’acciaio
viene utilizzato solo in dispositivi chirurgici
temporanei. Da un punto di vista clinico il titanio
possiede altri vantaggi che lo rendono superiore
all’acciaio:
-
malleabilità: in traumatologia maxillo facciale e in chirurgia ortognatica la possibilità di modellare senza difficoltà le mini placche rende la riduzione e la contenzione dei frammenti delle ossa del distretto facciale più precisa ed efficace
-
quando sottoposto ad indagine con TC il titanio non dà luogo ad i fenomeni di diffrazione tipici dell’acciaio con produzione di artefatti di distorsione anche importanti. Radiograficamente è opaco e può quindi essere visualizzato senza difficoltà.
Le applicazioni in campo biomedico sono numerose e riguardano sia la produzione di protesi ed impianti che quella di strumenti chirurgici:
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protesi articolari di anca, ginocchio, spalla, gomito e polso
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materiali di osteosintesi: viti, placche, miniplacche, microplacche
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impianti dentari osteointegrati
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protesi dentarie
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camere dei pace maker cardiaci
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valvole cardiache artificiali
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strumenti chirurgici per microchirurgia, chirugia oculare e cardiaca
2.6.2 Utilizzo clinico
In Chirurgia Platstica e Ricostruttiva il titanio trova la sua più frequente applicazione nel distretto maxillofacciale e craniofacciale. I sistemi di osteosintesi oggi più utilizzati sono quelli al titanio. Viti, miniplacche e microplacche sono il sistema di fissazione più utilizzato sia in traumatologia che in chirurgia ortognatica per il riposizionamento dei segmenti ossei dopo le osteotomie elettive.
2.6.3 Complicanze
Le controindicazioni dell’utilizzo di metalli sono le stesse dell’utilizzo di materiali alloplastici di altro tipo: reazione da corpo estraneo e formazione di una capsula fibrosa con distorsione dei tessuti circostanti, esposizione degli impianti, infezione. Queste complicanze sono comunque molto rare e non rappresentano quasi mai un problema nelle applicazioni in chirurgia maxillofacciale. La capsula fibrosa che si forma con l’utilizzo del titanio è sottile e non provoca distorsione. Il rivestimento dei tessuti facciali è più che sufficiente per la copertura delle viti e delle miniplacche e l’evenienza di una esposizione o di una estrusione è estremamente rara. Le miniplacche possono diventare visibili o palpabili con la scomparsa dell’edema post-operatorio e può rendersi necessaria la loro rimozione.